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Buffonesque

buffonesqueUna carovana arriva in città. Un po’ circensi, un po’ teatranti e un po’ saltimbanchi, questo eterogeneo e bizzarro gruppo di artisti viaggiatori sbarca nella piazza della città. Sono qui pronti a rappresentare un sunto dei propri numeri migliori e per assecondare i desideri del pubblico, dimostrando la propria abilità a raccontare storie o inventare situazioni.

Questo è quanto la voce stentorea dell’imbonitore annuncia, in principio di spettacolo, promettendo al pubblico stupore ed ammirazione. In verità, mano a mano che la scena si svolge, affiora lentamente il reale stato delle cose. La carovana è ben più che un gruppo eterogeneo di persone. Meglio appare come un gruppo disomogeneo di personaggi, dal passato tutt’altro che normale, uniti insieme dalla follia creativa di un vecchio funambolo infortunato, smanioso di ritrovare una nuova dimensione artistica, nella veste di direttore di un gruppo.

L’ex funambolo semiparalizzato si fa chiamare Urizen e siede su un alto scranno, semovente. Di qui controlla, ad ogni rappresentazione, che ogni artista compia effettivamente il suo dovere, intervenendo di tanto in tanto per mettere alla prova le abilità rispettive. Urizen è la mente della compagnia, a cui ha dato il nome di LUFTMENSCHEN (uomini sospesi in aria).

Subito sotto prende posto Proserpo, braccio destro di Urizen, attivo, premuroso e riconoscente, il quale nasconde malamente, tuttavia, la propria tendenza a un dispotismo illuminato e l‘ambizione ad altro ruolo che non quello d’imbonitore.
luftmenschen
Segue, quindi, tutto il guazzabuglio di artisti, raccolti in vario modo per il mondo: Nanuc, acida e rancorosa maestra dei tarocchi, unita a Urizen da un’ambigua relazione sentimentale, di cui si fa forte per poter lavorare il meno possibile; Moris Zok, apprendista augusto, mezzo ritardato e analfabeta, abile nel parlare con le mosche e nel contare le uova; Sergiej detto Bianco, figlio di un clown e clown a sua volta per imposizione, sogna, senza speranza, un ruolo di primo cantante e un’intera orchestra al proprio servizio; la Bambola, di cui s’ignora il nome, figlia di un artigiano di bambole, è la prediletta di Proserpo, che le ha insegnato a muoversi, ma sogna di poter sciogliere il corpo e danzare liberamente.
La carovana presenta uno spettacolo che si divide in due parti.

Nella prima, caratterizzata da maggior libertà, ad ogni artista viene offerta la possibilità di proporre un proprio numero. È lo spazio per il sogno, l’occasione per "mostrare quello che vorresti fare". Sotto l’egida di Urizen, ogni personaggio prova ad aprire il proprio immaginario di desideri e a rendere pubblico il proprio sogno.

La seconda parte è segnata dalla discesa di Urizen dal proprio scranno. Egli pone termine ai deliri onirici della sua compagnia, introducendo la fase meno libera del "mostra ciò che realmente sai fare". Vengono, dunque, portati in scena i numeri "necessari", quelli provati secondo copione, quelli in cui è difficile nascondere i propri naturali istinti, che escono con violenza e prepotenza distruttrice.

Perché continuano a stare insieme? Perché ogni artista non segue la sua strada, lontano dalla carovana, per andare a realizzare in altro luogo ciò a cui aspira veramente? Esiste un altro luogo? Esistono altri mondi al di fuori di questo?

Ognuno prova a guardare fuori e trova in sé la risposta. La carovana non si divide. La carovana continua a viaggiare, saluta il pubblico a suo modo e prepara i bauli per un nuovo viaggio e un nuovo pubblico.

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