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Elisabetta Chinarelli_Thrima Osvald

Guarda un po' chi si rivede

Avevo fame. Ero nato per mangiare. Tutto. Iniziai da piccolo con le capre e gli agnelli fintanto che i miei figli con i loro figli mi chiesero...gli uni poi gli altri:

- Papā, dove sono finite tutte le capre?
- Nonno dove sono andati tutti gli agnelli?

Risposi che avevano trovato un mondo migliore, dove fare del bene al prossimo e non mi fecero piu'domande sulle capre e sugli agnelli. Poi iniziai a mangiare i cavalli e i conigli con le lepri e le lontre con i draghi (c'č ne sono ancora sapete, venite a vedere dentro di me!) e continuai con le donne e i bambini.
Un giorno la fame mi aveva impietrito e mangiai i miei figli. Mia moglie mi chiese:
- Caro, dove sono andati i ragazzi?
Io dissi che ero troppo affranto per pensarci e mia moglie non mi fece piu'domande su dove fossero finiti i nostri figli. In me c'era un mondo, inimmaginabile e profondo che continuava a chiedere e a volere. Quando terminarono anche le case, le scarpe, oggetti utili e futili, mangime per volatili e casse per defunti, tartarughe di porcellana bianca, computers, fili d'acciaio e ragione, penne e inchiostri colorati, stampe litografiche, antiche pergamene, nuvole e terra, cielo e mare, cuori e desideri, amori e cose, rimasi solo io con la mia amica fame. Veleggiavo come veliero leggero nello spazio informe e deserto, incontravo le stelle e i pianeti, il buio che sembrava non finire.

Io continuavo ad avere fame. Non mangiavo da giorni, era terminato tutto e mi decisi di esplorare la zona. Il mondo non esisteva, esisteva uno scialle di spazio percorribile, ma il resto era invisibile, le stelle si potevano toccare ma non possedere, non esistevano sentimenti ne dogmi, non continuava il deserto qui, terminava la fantasia! Decisi che avrei cercato una spiaggia di pensieri e mi ci sarei accovacciato fino ala prossima fame. E lo feci.
Non desideravo nulla, la fame eccome. Voleva me.
Ero l'unica cosa che non aveva assaggiato e credeva io contenessi talmente tanto da saziarla per lo spazio dell'eternitā.
Levai dalla mia tasca attaccata al pensiero una macchina fotografica, mi fotografai e la mangiai.

Le immagini hanno un buon sapore e durano a lungo.
Continuai a percorrere spazi senza significato scattando fotografie che riponevo nella tasca che era la mia testa.
Viaggiai in basso e in alto cogliendo i significati di ogni non senso e cercando di fare a meno del mio corpo per sopravvivere.